SOLDATO
Mi hanno visto così
ago ribelle mischiato all’erba alta
con gli occhi invasi da un sole in espansione
in questa distesa che mai s’arresta
affollata da molti suoni e da gemelle sensazioni.
Non si vedevano ferite
né l’effigie della paura era ancora emersa.
S’avanzavano guardinghi i passi, e pesanti
prima che l’eco sterminata del silenzio
ne rubasse le geometrie del prosieguo.
Con palpebre inchiodate in alto
mi affidavo al ritmo delle ginocchia
per insinuarmi tra le nudità della terra
e strisciandovi sopra
avvertivo l’insidia dell’umidità che sputava.
E mi sembrava di annegare.
La mano, per nulla ferma, scivolava sull’artiglieria
e l’altra cercava di placare il cuore.
Era come un lungo, infinito assolo di chitarra
ma erano corde di morte a vibrarmi intorno.
Fuggiasca di bocca la saliva mi bagnava il mento
sotto una coperta di uccelli in dolce attesa.
Avrei voluto rivisitare le istantanee di vita
custodite nella tela di un respiro
ma c’era troppo silenzio per potersi concentrare.
Riuscivo solo a pronosticare l’abito del mio sangue
e mi consolava l’idea del tepore che mi avrebbe regalato
in quegli istanti ruminati con fervore
sulla soglia di una dimora che mi aveva accolto.
Fu un viaggio di sfide involontarie
espiazione di colpe ipotizzate
ouverture di redenzione mai vissuta.
Ora qualcuno mi racconta del mio ritorno
ma di questo ancora non ho certezza.
Nel mio recinto di tormenti
continuo a strisciare inseguito da un’idea
sempre quella
tremenda nell’azione e d’interminabile presenza.
Enfat, 15/12/2019